Tolstoj Aleksej Nikolaevic.

Cartina dell'Italia

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Tolstoj, Aleksej Nikolaevič.

Scrittore russo. Dopo gli esordi con le raccolte liriche di gusto simbolista, Lirica (1907) e Al di là dei fiumi azzurri (1911), si dedicò alla narrativa, componendo, in particolare, racconti realisti (Il signore zoppo, 1912; L'uomo ordinario, 1915) di descrizione degli ambienti della nobiltà russa di provincia. Dopo la Rivoluzione d'Ottobre emigrò (1918) a Parigi dove scrisse drammi (Amore, libro d'oro, 1918-19) e racconti (L'infanzia di Nikita, 1920-22). Ritornato in patria (1923) sviluppò un'abbondante e pregevole attività letteraria (i racconti La macchina nera, 1924; Miraggio, 1924; il romanzo di fantascienza L'iperboloide dell'ingegnere Garin, 1925-27; il romanzo satirico Le avventure di Nevzorov o Ibikus, 1924), ottenendo particolare successo con la trilogia La vita dei tormenti (1922-41), descrizione della società russa alla vigilia e agli inizi della Rivoluzione, con Pane (1937), rievocazione della difesa di Caricyn (Stalingrado) durante la Rivoluzione, e con la biografia romanzata Pietro I (1929-45). Apprezzato esponente della cultura sovietica (nel 1937 entrò anche nel Consiglio supremo dell'Unione Sovietica), durante la seconda guerra mondiale svolse intensa attività giornalistica e narrativa. Fu inoltre autore di testi teatrali, tra cui Ivan il Terribile (1941-43), e di libri per l'infanzia (La chiave d'oro, 1936) (Nikolaevsk, Samara 1882 - Mosca 1945).

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Scrittore.

Chi svolge attività letteraria, scrivendo opere di varia natura e argomento con finalità artistiche. ║ Con significato specifico, autore di una determinata opera.

Simbolista.

Chi si esprime in forme simboliche; in particolare, scrittore, artista seguace del Simbolismo.

Narrativa.

Lett. - Genere letterario che comprende tutti i testi di carattere narrativo, quali la fiaba, la biografia, il poema. Con significato più circoscritto, indica i soli testi in prosa d'invenzione come il racconto, la novella, il romanzo, con esclusione, quindi, dei testi saggistici, storiografici, ecc. ║ Il complesso delle opere narrative di una lingua o letteratura, di un periodo, di un movimento o di un gusto letterario: la n. verista. ║ Le opere di un autore, o la sua arte narrativa: la n. di Pirandello. ● Dir. - Parte della sentenza dedicata all'esposizione del fatto. ║ Per estens. - Tecnica e modalità del narrare in cinematografia.

Racconto.

Esposizione in forma orale o scritta di avvenimenti o discorsi. Per le sue caratteristiche il r. tende a essere distinto dalla narrazione, più strutturata e relativa a fatti di maggior importanza o di rilevanza generale, e dal resoconto, inteso come rapporto redatto con uno stile più tecnico e in cui prevale uno scopo puramente informativo. • Lett. - Forma narrativa di estensione variabile, comunque più breve di un romanzo e più lungo di una novella, che ha per oggetto un fatto reale o immaginario. Nella storia letteraria, specie nella novellistica medioevale, i r. sono spesso inseriti in un contesto che dà loro unitarietà e sistematicità, pur mantenendo ciascuno la propria indipendenza strutturale e stilistica (per esempio, il Decamerone di G. Boccaccio e I racconti di Canterbury di G. Chaucer).

Nobiltà.

Ceto sociale tipico delle società preindustriali, contraddistinto da prerogative e privilegi trasmessi per diritto ereditario. La giustificazione di una condizione di privilegio, intesa come diritti dovuti alla virtù, traspare nel termine aristocrazia (governo dei migliori), impiegato come sinonimo di n. ║ Fig. - Signorilità, elevatezza morale. ● St. - L'esistenza di gruppi sociali eminenti in termini di potere, prestigio e ricchezza è attestata presso tutte le società antiche. L'origine della n. europea in particolare risale all'età romano-barbarica, con la formazione di un ceto di guerrieri che, divenuti gli alti ufficiali della corte e dello Stato, ed esercitando dominio e protezione sugli altri uomini, si vedono riconosciuto uno status di eccellenza. Il termine nobilitas (il carattere di chi è noto, in quanto membri della propria famiglia hanno ricoperto cariche elevate e onorifiche) compare nei secc. V-IV a.C., quando il progressivo livellamento fra patrizi e plebei porta alla formazione di una nuova classe di "notabili" su base censitaria, il cui criterio di appartenenza è l'esercizio di una carica curule da parte di un antenato. Prerogative riconosciute alla nobilitas diventano il diritto di trasmettere il proprio cognome, di esporre le immagini degli antenati e di accedere alle più alte cariche dello Stato. In età imperiale, il criterio censuario per l'appartenenza alla nobilitas diventa discriminante e, di conseguenza, la base di reclutamento dei nobiles si allarga fino a comprendere famiglie dell'ordine equestre oppure scelte direttamente dall'imperatore fra le persone di sua fiducia. A partire da Costantino l'antica aristocrazia romana perde progressivamente peso, in quanto diventa determinante per l'accesso alle più alte cariche statali la scelta compiuta dall'imperatore fra le persone appartenenti al suo seguito, i comites (da comes deriverà, poi, il titolo nobiliare di conte). La n. romana e il sistema di proprietà terriera ad essa connesso sono completamente eliminati in seguito alle invasioni dei popoli germanici, venendo progressivamente meno, a causa delle condizioni dell'Impero, la distinzione fra gerarchia militare e civile. Si affermano, con un processo differente da zona a zona, quelle famiglie i cui membri, spesso scelti come alti funzionari e capi militari dai re germanici, riescono per ricchezza, prestigio, abilità guerriera a supplire alla carenza di ordinamenti giuridici, amministrativi, militari dello Stato. A partire dall'età carolingia, con lo svilupparsi del sistema feudale, questa n., i cui privilegi non derivano dalla nascita, ma dagli uffici ricoperti, si trasforma in un ceto sociale, dipendente dall'autorità del sovrano, che si trasmette da una generazione all'altra insieme alla proprietà di grandi beni fondiari, ai titoli (comes, dux, baro) e alle funzioni delle cariche pubbliche. Si crea una rete di proprietari terrieri che sono, al medesimo tempo, funzionari imperiali e detentori di una serie di benefici, quali quello di tenere delle truppe, di battere moneta e di riscuotere un tributo da quanti attraversassero le loro terre. Nell'XI sec. viene riconosciuto giuridicamente il diritto di ereditarietà del feudo (constitutio de feudis, 1037) e, conseguentemente, il diritto di trasmissione dei titoli, dei privilegi e degli oneri connessi allo status di nobile, fermo restando la potestà in materia propria dell'imperatore e del papa. Contemporaneamente diventa sinonimo di n. l'adesione a tutto un sistema di valori di origine cristiano-cavalleresca incentrato sul concetto di virtù, testimoniato nelle chansons de geste. Con lo sviluppo delle città si afferma, parallelamente, una n. che è espressione dei ceti mercantili e artigiani, i cui membri vengono scelti per ricoprire le cariche civiche; il concetto di n. si associa a quello di virtù civica, vita spesa al servizio dello Stato. L'età illuministica, con la diffusione delle idee di uguaglianza e dignità della persona, così come la decadenza del sistema economico feudale, fondato sulla proprietà terriera, e la nascita dei grandi Stati nazionali, determinano il progressivo indebolimento della classe nobiliare e l'abolizione dei suoi privilegi giuridici, un processo accelerato dalla Rivoluzione francese. Anche lo sviluppo industriale, che si verifica dalla metà del XIX sec., favorendo la nascita e il rafforzamento economico della borghesia, costituisce una delle cause della decadenza della n., spesso incapace di adeguarsi alla nuova realtà economico-sociale. In età contemporanea la n. è sopravvissuta come classe sociale sottoposta, al pari delle altre, alle leggi dello Stato; negli Stati a costituzione repubblicana i titoli nobiliari sono stati in genere aboliti, o comunque non danno luogo a privilegi sociali o politici, mentre in quelli ad ordinamento monarchico si è mantenuto il diritto del sovrano di conferirli. Nell'ordinamento costituzionale italiano i predicati e i titoli nobiliari sono privi di valore giuridico; qualora risalgano ad epoca anteriore all'avvento del Fascismo, possono essere riconosciuti come parte integrante del nome.

Rivoluzione russa di Ottobre 1917.

Lenin

Il ruolo di Lenin nei travagliati eventi che culminarono nella cosiddetta Rivoluzione d'Ottobre fu assolutamente determinante. In particolare, fin dal suo arrivo a Pietrogrado nell'aprile 1917 (dopo lo scoppio della cosiddetta "rivoluzione di febbraio" che aveva posto fine allo zarismo e aveva visto la formazione di un governo provvisorio liberal-costituzionale) egli impresse una decisa svolta verso la decisione del partito bolscevico di aprire una nuova fase della rivoluzione e di prendere direttamente il potere. La rivoluzione del febbraio 1917, infatti, se da una parte aveva sorpreso lo stesso Lenin per la sua rapida evoluzione, dall'altro lo aveva intimamente convinto che lo scontro finale tra la borghesia e il proletariato non fosse più rimandabile, e che le forme di rappresentanza democratico-parlamentare fossero ormai superate. Di qui l'apprezzamento per i numerosi soviet che andavano costituendosi in tutta la Russia, visti come veri e propri nuclei embrionali di un nuovo potere statale, e la decisione di lasciarsi alle spalle ogni rapporto con la socialdemocrazia europea.

Le teorie leniniste riguardo alle funzioni che avrebbero dovuto assumere i soviet - e, più in generale, la strategia di conquista del potere elaborata dallo stesso Lenin - incontrarono l'opposizione di una parte importante del partito bolscevico, opposizione che fu superata in occasione della conferenza panrussa del partito dell'aprile 1917, durante la quale Lenin riuscì ad imporre la propria strategia sul resto dei delegati. Con il luglio successivo, che vide a Pietrogrado il fallimento di un'insurrezione armata di operai e soldati appoggiati dai bolscevichi contro il governo provvisorio, la concezione leninista mutò significativamente, abbandonando l'ipotesi di dotare i soviet di maggiori poteri (perché ritenuti organismi ormai consegnati alle forze controrivoluzionarie) e orientandosi ancora di più verso l'ipotesi di uno scontro armato con le forze governative, in cui il partito assumesse un ruolo di guida del violento processo rivoluzionario. Nell'autunno 1917, così, Lenin riuscì a guidare gli eventi rivoluzionari verso il loro epilogo, puntando le proprie carte soprattutto sul ribellismo del mondo agrario, che proprio in quelle settimane ebbe modo di dispiegare una forza e una violenza inaspettate per gran parte degli osservatori, e che consentì ai bolscevichi di portare a termine con successo l'insurrezione d'ottobre a Pietrogrado, condotta da reparti della guardia rossa, dai marinai della flotta del Baltico e dai soldati di stanza nella stessa Pietrogrado. Il ruolo di Lenin nel convincere un'importante porzione del partito bolscevico a intraprendere l'azione armata contro il governo fu determinante, considerato che essa presentava moltissimi rischi e che proprio all'interno del partito si levarono in quei giorni non poche voci che invocavano soluzioni alternative al colpo di mano militare. Fu grazie alla condotta organizzativa di Trockij, presidente del soviet di Pietrogrado, tuttavia, che l'insurrezione armata ebbe successo, venendo condotta in nome di tutti i soviet e non del solo partito bolscevico.

Conquistato il 26 ottobre (secondo il vecchio calendario russo, 8 novembre per la datazione occidentale) il palazzo d'Inverno, lo stesso giorno Lenin emanò i noti decreti sulla pace e sulla terra, che da una parte invocavano l'avvio di trattative per il raggiungimento di una pace "senza annessioni e senza indennità" - così da sganciare il Paese da un conflitto pericoloso anche per il nuovo governo -, dall'altra stabilivano l'immediata abolizione della grande proprietà. Ancora il 26 ottobre, il Congresso dei Soviet elesse il primo governo dei commissari del popolo, con a capo lo stesso Lenin. Più difficoltosa, invece, si rivelò la conquista del potere a Mosca, che avvenne dopo una settimana di duri scontri, così come nel resto del Paese, dove i bolscevichi erano una minoranza e il potere continuò per non poco tempo a rimanere nelle mani delle autorità locali del governo provvisorio.

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Dramma.

(dal greco drama: azione). Termine risalente ad Aristotele, indicante in origine qualsiasi opera letteraria le cui vicende, anziché essere raccontate e commentate dall'autore (come nella narrativa e nell'epica), sono svolte solo attraverso i dialoghi e i conflitti dei personaggi. In particolare, composizione teatrale caratterizzata da un intreccio doloroso. ● Teatro - Nato dalla fusione della commedia con la tragedia (la forma seria del teatro aristocratico e feudale) il d. si distingue da quest'ultima per alcuni elementi esteriori ed anche per alcune caratteristiche intrinseche. Tra i primi: il d. non è necessariamente in versi, non racconta storie di dei o di eroi, non si conclude obbligatoriamente con la catastrofe (e con la catarsi), ma può essere in prosa, presenta personaggi rintracciabili nella vita quotidiana, svolge vicende che possono far parte dell'esperienza di ognuno, può sfociare in conclusioni amare o liete e comunque non sempre tragiche. Tra le seconde: la sorte dei protagonisti non è decisa in partenza da un decreto del fato o da una passione indomabile, ma determinata dal contesto nel quale essi agiscono; inoltre è assai più esplicito l'intento di educare lo spettatore, traendo dalle vicende una morale. Gli antecedenti di questo genere furono le cosiddette domestic tragedies elisabettiane: Arden of Feversham (1592), Una donna uccisa con la bontà, Una tragedia nello Yorkshire; suo prototipo appare il d. Il mercante di Londra (1731) di G. Lillo, che incontrò in Inghilterra un notevole successo. Fu comunque in Francia che si affermò in età illuministica il vero d. moderno, derivato dalla comédie larmoyante, volta a suscitare la trepida partecipazione degli spettatori alle patetiche vicende dei protagonisti. Spetta a D. Diderot il merito di aver esposto la teoria del nuovo genere nelle Tre conversazioni su "Il figlio naturale" (1757) e nel Discorso sulla poesia drammatica (1758). Dai propositi, d'orientamento realistico, di Diderot trassero ispirazione numerosi autori francesi, da Voltaire (La scozzese, 1760), a Mercier (Il carretto dell'acetaio, 1774) che nel Nuovo saggio sull'arte drammatica (1773) diede una definitiva consacrazione al termine d. In Germania i primi capolavori drammatici furono firmati da Lessing: Minna di Barnhelm (1763), Emilia Galotti (1772). Il d. dominò il teatro europeo dell'Ottocento fino a Ibsen e Strindberg; poi col nuovo secolo e il superamento dei vecchi generi, è iniziata la storia, completamente diversa, del teatro moderno. ║ D. pastorale: genere teatrale, affermatosi negli ultimi decenni del Quattrocento, che si rifà all'idillio, alla bucolica e all'egloga e trasforma il dialogo in vera e propria struttura drammatica. Esso è tuttavia condizionato dalle corti, che esigono dal poeta un teatro raffinato, pieno di fasto e di garbo. Il d. pastorale viene così a fondere il sentimento tragico a quello comico, con il lieto fine di rigore, per non turbare la serenità del gioco festivo, in cui abitualmente questo genere veniva rappresentato. Dalla favola pastorale il teatro riprende gli stessi personaggi: ninfe, satiri, pastori e cacciatori. L'esempio primo di questo genere si ha nella Favola di Orfeo di Poliziano, rappresentata nel 1480. Fino alla metà del Seicento il genere continua ad avere fortuna e tra le opere più significative sono da ricordare il Tirsi di Baldassarre Castiglioni (1506), l'Egle di G. B. Giraldi Cinzio (1545), l'Aminta di T. Tasso (1590), mentre l'Endimione di A. Guidi (1692) segna la fine di una formula ormai priva d'interesse, che egualmente si era andata spegnendo in Spagna e in Inghilterra, dove aveva trovato, specie in Garcilaso de la Verga, Juan de Encina ed E. Spencer, i migliori cultori. ║ D. satiresco: uno dei tre grandi generi del teatro classico greco; ha in sé i caratteri della tragedia e della commedia e assunse preciso carattere proprio per la dinamica grottesca su temi tragici. Nel d. satiresco il vecchio Sileno guida il coro dei satiri - esseri dai particolari animaleschi - osceni crapuloni, allegri, la cui azione fa da controcampo all'intervento del protagonista: Odisseo, contrapposto al leggendario Ciclope, nell'omonimo d. satiresco di Euripide, l'unico testo pervenutoci completo, o i tradizionali eroi della tragedia greca, rappresentati in dimensioni grottesche, dove comico e tragico si fondono in una parlata popolare, sboccata e cruda, ricca di vis comica. Al genere, che ebbe in Pratina (secc. VI-V a.C.) il suo perfezionatore, si dedicarono anche Eschilo e Sofocle con opere di cui restano frammenti. ║ D. liturgico: azione drammatica religiosa cantata su testo latino (talvolta misto a volgare). Il testo è sempre la parafrasi dialogata di un episodio evangelico; la sua rappresentazione che in origine aveva spesso maggiore affinità con un rituale processionale più che con uno svolgimento teatrale vero e proprio, si svolge in chiesa. Il periodo di maggior fioritura del d. liturgico si ebbe nel XII sec., ma le origini risalgono alla fine del IX sec.; lo sviluppo si protrasse fino al XIV sec. è probabile che l'origine del d. liturgico vada ricondotta alla fioritura dei tropi in epoca carolingia: si ritiene anzi che un primo breve ed embrionale esempio di d. liturgico possa essere stato il dialogo, interpolato al testo della Messa di Pasqua, tra l'angelo e le pie donne che trovano scoperchiato il sepolcro di Cristo. Il d. liturgico è legato alla solenne celebrazione di una festa: la Pasqua, il Natale, la resurrezione di Lazzaro, la conversione di Paolo. Non rientra quindi in senso stretto nella categoria di Planctus, lamento della Vergine sul corpo di Cristo, genere affine ma legato al Venerdì santo e avente carattere doloroso. ║ D. musicale: nel Seicento, e anche in seguito, fu talvolta sinonimo di melodramma o di opera seria. Ma un significato più preciso fu assunto dal termine dopo la teorizzazione wagneriana dei concetti di opera e di dramma. L'opera è quella caratterizzata dalla distinzione (consueta al tempo di Wagner) tra recitativi e arie, duetti, concertati; dalla presenza insomma di pezzi chiusi in cui le ragioni del testo dovevano adeguarsi a quelle della musica e in un certo senso subirle. Il rapporto si invertì nel d. musicale teorizzato da Wagner, in cui spettava al testo condizionare la forma musicale, liberata dalle esigenze del "pezzo chiuso". Dopo Wagner molti compositori evitarono nel loro teatro musicale le forme chiuse dell'opera (Strauss, Debussy, Verdi nel Falstaff e numerosi altri), senza che i loro lavori potessero tuttavia qualificarsi come d. in senso wagneriano.

Pàtria.

(dal latino patria). Territorio abitato dai componenti di una Nazione, che sentono di appartenervi per nascita, lingua, cultura, storia e tradizioni. ║ Per estens. - Gli uomini che popolano un territorio, uniti da tradizioni, ideali, istituzioni: il culto della p. ║ In senso più ristretto, la città o il paese natale, in particolare quando si fa riferimento a personaggi storici: Mantova è la p. di Virgilio. ║ P. d'elezione o seconda p. o p. adottiva: luogo in cui non si è nati, ma in cui si è scelto di vivere e che si ama come la terra d'origine. ║ Fig. - Luogo d'origine in cui determinate cose nascono e si sviluppano con facilità: Vienna è la p. del valzer. • Rel. - P. celeste: il paradiso, contrapposto alla vita terrena considerata come un esilio. • St. - Padre della p.: titolo onorifico che i Romani attribuivano a cittadini che si erano prodigati per il bene della p. Nell'età moderna, gli Italiani lo attribuirono a Vittorio Emanuele II, perché durante il suo Regno l'Italia conquistò l'Unità.

Letteratura.

(dal latino litteratura, der. di litterae: lettere). Insieme delle opere letterarie di una nazione o il complesso delle pubblicazioni concernenti una scienza o un argomento specifico. Il termine viene anche usato con il significato di scienza delle belle lettere o di storia della l., il che equivale a sostanziare l'espressione di un valore storico, critico e cronologico particolare. A seconda del contenuto la l. è suscettibile delle più diverse aggettivazioni: infantile, avventurosa, sentimentale, di viaggi, ecc. Complesso è il problema della maniera di intendere la storia letteraria, in quanto questo concetto è subordinato a valutazioni filosofiche che l'hanno fatta dapprima coincidere con una storia dei generi letterari, limitata agli aspetti filologici e nazionalistici, e più tardi assumere il senso di una componente dello sviluppo civile e umano che non può essere dissociata dai grandi movimenti artistico-culturali, quali il Barocco, l'Illuminismo, ecc.

Fantascienza.

Genere di letteratura popolare narrativa fantastica o pseudoscientifica assai diffuso negli Stati Uniti e in Russia. Questo tipo di letteratura, che gli anglosassoni chiamano science-fiction, ha avuto origine nel 1926 grazie all'iniziativa dello statunitense Hugo Gernsback, fondatore della rivista "Amazing Stories" nella quale apparvero numerosi racconti e brevi romanzi di f. Tuttavia questo genere letterario ha radici ben più profonde e si può giustamente far risalire al secolo scorso quando con l'esplosione della tecnologia, con la realizzazione di numerose ed importanti scoperte in campo scientifico che consentirono un rapidissimo evolversi del progresso tecnico, alcuni autori come Jules Verne, Conan Doyle e l'italiano Emilio Salgari scrissero una serie di romanzi di successo basati appunto sull'applicazione fantastica delle nuove conoscenze scientifiche. Probabilmente Gernsback si ispirò, come i collaboratori della sua rivista, ai modelli di Verne e di H.G. Wells (1866-1946), autore di romanzi utopistici come L'uomo invisibile e La macchina del tempo. Sulla scia di Amazing Stories, oggi ricercatissima dai collezionisti, sorsero in breve tempo numerosi periodici del genere, tutti ad un livello letterario piuttosto mediocre. è il periodo pionieristico della f., periodo nel quale prevalgono gli omini verdi, gli scienziati pazzi, i mostri giganteschi dalle forme di insetto, ecc. Subito dopo nacque la space-opera, in cui si rinnovano - e si ripetono in varie salse - le eroiche gesta di uomini superdotati in grado di affrontare lo spazio per sconfiggere incredibili esseri extragalattici, perfidi ma intelligentissimi; in questo genere di distinsero particolarmente E. E. Smith, E. Hamilton, E. R. Burroughs, inventori di interminabili saghe spaziali con protagonisti principesse meravigliose, mostri spaventosi, conquistatori di imperi. Poi la f. subì una svolta: nacquero i racconti i cui eroi non erano altro che lupi mannari, vampiri, fantasmi, demoni; questo genere fu chiamato semplicemente fantasy ed è facile indovinarne l'ispiratore: Edgar Allan Poe; fra i principali scrittori di questo periodo fu lo statunitense H. P. Lovecraft (1890-1937). Questo genere non è ancora morto; rivive soprattutto nel cinema nelle riviste "nere" a fumetti. Negli anni Trenta un vero "cronista" del futuro può essere definito l'inglese Olaf Stapledon che, nei suoi romanzi The Star Maker e First and Last Man, in particolare, narra immaginarie avventure di conquistatori di mondi lontani descrivendo con minuzia ogni particolare delle sue visioni. Assai più importante fu J.W. Campbell, il vero fondatore della moderna f., che, grazie alla sua rivista "Astounding Science Fiction" (oggi "Analog"), che vide la luce nel 1936, si dimostrò un grande talent-scout, scopritore dei maggiori "maestri" della f. A lui va anche il merito di aver contribuito non poco al miglioramento dello stile letterario di questo genere, considerato allora, anche dagli scrittori specializzati, di "secondaria importanza" e quindi non richiedente una vera e propria capacità letteraria. Intorno al 1950, dopo una ricca fioritura di racconti e romanzi fantascientifici durante la seconda guerra mondiale (la f. fu allora considerata "letteratura di evasione" alla stregua di certi romanzi gialli), apparve una nuova rivista intitolata "Galaxy". I racconti in essa pubblicati presentavano una nuova faccia: quella di una intelligente critica della civiltà contemporanea, sviluppata in modo spregiudicato, ricco di malizia e perciò davvero stimolante. è il tipo di f. detto comunemente "sociologico che si rifà alla narrativa utopistica del Settecento. I temi di questo filone "freddo" - come molti lo chiamano - erano basati su argomenti a prima vista banali che si adeguarono poi alla vita normale di ogni giorno. Satireggiando la società odierna nelle sue forme più appariscenti come la burocrazia, la pubblicità, il traffico, il consumismo, ecc., il genere sociologico trasferiva tutto ciò nel campo della fantasia, in mondi sconosciuti dove imperversano le dittature, le persecuzioni contro intere classi sociali, dove prendevano forma strane organizzazioni sociali e così via; a queste situazioni facevano da contorno - ma come oggetti di vita quotidiana - navi spaziali, robot, dischi volanti, macchine stranissime destinate agli scopi più impensabili, la telepatia, le quattro dimensioni, lo spazio-tempo, ecc. Oggi in Russia, dove la passione per la f. è molto diffusa, questa si mantiene più che altro su posizioni moraleggianti o istruttive. Negli Stati Uniti l'attuale f., più che su racconti basati sulla scienza è orientata verso argomenti di attualità - guerra del Vietnam, bomba H, trapianti cardiaci. I grandi nomi della f. sono oggi quelli di Robert Sheckley, di Ray Bradbury, di Isaac Asimov, e poi ancora quelli di R. Heinlein, W. Tenn, C. Simak, P. Dick, J. Blish, A. Bester, A. E. Van Vogt. Un vero scienziato che scrive opere di f. è l'inglese Arthur Clarke; anche Fred Hoyle, astronomo, ha scritto molte opere di f.; fedeli al filone utopistico (derivato da Swift, da Butler, da Tommaso Moro, da Huxley, da Orwell) sono i britannici C.E. Maine, J. Wyndham, K. Amis, E.F. Russel, B. Aldiss, J. Christopher.

Satìrico.

Relativo alla satira. Che ha carattere di satira. ║ Inteso a irridere qualcuno o qualcosa. ║ Detto di chi preferisce e pratica il genere della satira.

Trilogìa.

Nell'antica letteratura greca, il complesso di tre tragedie che, insieme al dramma satiresco, formavano la tetralogia necessaria per essere ammessi al concorso drammatico in occasione delle feste dionisiache. ║ Per estens. - Nell'uso moderno, l'insieme di tre opere dello stesso autore che, accomunate dallo stesso tema o da altre caratteristiche, formano una sorta di ciclo unitario (la t. dantesca: le tre cantiche della Divina Commedia o, nella critica dantesca, le tre opere maggiori del poeta - Commedia, Vita Nuova, Convivio). ║ Fig. - Serie di tre elementi.

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Biografìa.

Narrazione avente come argomento principale la vita di una persona.

Narrativa.

Lett. - Genere letterario che comprende tutti i testi di carattere narrativo, quali la fiaba, la biografia, il poema. Con significato più circoscritto, indica i soli testi in prosa d'invenzione come il racconto, la novella, il romanzo, con esclusione, quindi, dei testi saggistici, storiografici, ecc. ║ Il complesso delle opere narrative di una lingua o letteratura, di un periodo, di un movimento o di un gusto letterario: la n. verista. ║ Le opere di un autore, o la sua arte narrativa: la n. di Pirandello. ● Dir. - Parte della sentenza dedicata all'esposizione del fatto. ║ Per estens. - Tecnica e modalità del narrare in cinematografia.

Autore.

Esecutore, artefice di un'azione. ║ Creatore di un'opera letteraria, scientifica, artistica. • Dir. - Nel linguaggio giuridico il soggetto da cui deriva un diritto. ║ A. del reato: chi ha commesso un crimine. ║ A. mediato del reato: chi si serve di altra persona per l'esecuzione di un reato.

Infànzia.

(dal latino infantia, der. di infans: che non parla). Primo periodo della vita nel quale l'individuo non è ancora in grado di comunicare mediante la parola. Tuttavia alcuni studiosi hanno allungato considerevolmente il periodo di tempo dell'i. portandolo sino al dodicesimo anno di età. In questo modo l'i. è stata suddivisa in una prima i., che va sino ai sette anni, ed una seconda i., che prosegue sino al compimento del dodicesimo anno. Per taluni studiosi, anche questo periodo dell'esistenza umana si prolungherebbe sino al quattordicesimo anno di età. Questa periodizzazione non va comunque intesa come una rigida divisione di momenti ma come un'armonica successione di stadi fisiologici e psicologici. In ogni caso la divisione più comune e più accettata considera l'i. comprensiva di due periodi, il primo dei quali va sino al terzo anno di età e vede il bambino imparare a muoversi ed a nutrirsi in maniera autonoma, mentre nei successivi tre anni inizia a stringere relazioni di carattere sociale con i componenti del suo ambiente famigliare ed inizia a servirsi della parola come mezzo di autonoma comunicazione con gli altri. È tuttavia solo in epoca recente che gli studiosi hanno iniziato a considerare l'i. come un momento della vita dell'essere umano che è funzionale al suo armonico sviluppo e contiene in sé tutte le potenzialità che si svilupperanno in seguito.

Samara.

Città (1.170.000 ab.) della Russia e capoluogo della provincia omonima (53.600 kmq; 3.305.600 ab.). È situata nella parte europea del Paese, sulla sponda sinistra del fiume Volga, alla confluenza con il fiume Samara. Nel 1958 è stata completata la costruzione del grande lago (6.000 kmq) di sbarramento Volga-Samara, che alimenta la più grande centrale elettrica del mondo. • Econ. - È sede di industrie metalmeccaniche, chimiche, elettrotecniche, alimentari, conciarie e di impianti per la lavorazione del petrolio. • St. - Fu fondata verso la fine del XVI sec. e presto divenne importante centro commerciale dei cereali e del bestiame. Nel 1774 fu centro della famosa rivolta di Pugačëv. Con la costruzione delle ferrovie che misero in contatto S. con Mosca, Taškent e Čeljabinsk, ebbe un ulteriore sviluppo. Nel 1935 cambiò il nome in Kujbyšev e divenne capoluogo di provincia. Dal 1941 al 1943, essendo minacciata Mosca dall'avanzata tedesca, fu capitale dell'Unione Sovietica. Nel 1991, con lo scioglimento dell'Unione Sovietica, riprese il suo nome primitivo. • Arte - La città conserva due pregevoli cattedrali e palazzi e monumenti di varie epoche; è anche un vivace centro culturale, con un istituto di ricerche scientifiche e numerosi musei.

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